Era da febbraio che avevo in mano i biglietti per vedere
Sunset Boulevard, da febbraio che seguivo forum, blog, e news varie sul
andamento delle prove, il casting ed il gossip delle quarantatré serate che
avrebbe vista Glenn Close, riprendere il suo pluri premiato ruolo in questo
musical al West End di Londra.
Più le critiche e le recensioni erano superlativi più
crescevano le mie aspettative, e non è mai bello arrivare in teatro con le aspettative
troppo alte, si rischiano forte delusioni … ed invece no, questa volta no…
tutto quello che avevo letto non riusciva minimamente a togliere la magia di
venerdì sera.
Dalla prima entrata in scena Glenn Close ha ipnotizzata una
platea di tremila persone. Abbiamo assistito ad un vero ‘masterclass’ del ruolo
di un attore in un musical. Personalmente è stato il più bella messa in scena
che io abbia mai visto.
L’orchestra dell’English National Opera (ottanta elementi)
erano sul palco e la maestosità della partitura di Andrew Lloyd Webber l’abbiamo
gustato come mai prima d’ora. La scenografie era statica, con quattro scalinate
di ferro e passatoie a costruire una gigantesco telo di ragno sopra la loro
testa. Una regia strepitosa, geniale nella sua semplicità che ha costretta la
Sig.ra Close a salire e scendere innumerevole volte su e giù per le scale. A
metà del secondo tempo eravamo stanchi noi in platea e questa sensazione di
stanchezza non faceva che sottolineare la fatica e la fragilità della
protagonista per la situazione in cui si trovava.
Non faccio una recensione dello spettacolo, non sarei in grado,
piuttosto prendo i momenti che più mi hanno colpiti.
Alla prima canzone sua
si ha già la certezza che il prezzo del biglietto e il viaggio a Londra erano
giustificati.
Alla fine del primo
tempo il pianto era qualcosa di straziante. Sembrava il pianto che tutti noi
avremo voluto fare almeno una volta nella vita, pieno di rabbia, di impotenza,
di disperazione per qualcosa o qualcuno che abbiamo perso nonostante i nostri
sforzi. Un pianto che partiva nell'anima e che usciva attraverso il corpo a rannicchiato
quasi per proteggersi da sé stesso. Guardandomi attorno piangevamo in molti con
lei. Poi un secondo dopo, con il braccio allungato per stringere a se la sua ‘preda’
sembrava una ‘vedova nera’ che cattura un insetto nella ragnatela, un cambio di
emozione così veloce e così sottile che ti lasciva spiazzata…luci in platea,
intervallo, ci guardiamo tutti e l’unico parole è: “Wow”!
Secondo tempo; lei è
seduta, un occhio di bue puntato, con un movimento impercettibile riesce a
trasmettere la paura, la gioia, l’insicurezza e la completa convinzione di
essere ‘la più grande stella del cinema’ tutte a lo stesso tempo e poi, canta
una canzone con una recitazione così straordinaria che ci troviamo tutti di
nuova a piangere (e la canzone non è nemmeno triste)!!!
La scena finale forse
le varrebbe l’oscar che non ha mai vinto. La contrapposizione continua di forza
è fragilità disorienta, alla fine il pubblico è confusa quanta lei.
C’è poca da dire, quando Glenn Close è in palco non si
riesce a distogliere lo sguardo da lei, io ci ho provato ma sembra una
calamità, in fondo in questo gigantesco tele di ragno ci ha catturata tutti.
Forse la chiave è la completa onesta con la quale lascia
sprigionare le emozioni e l’energia, forse è la generosità che mostra in palco con
i compagni, di sicura è qualcosa della quale mi sento privilegiato di aver
potuto vedere e condividere.
Tutto il cast era bravissimo. Quando escono per i saluti
finale percepisce la voglia di tutti di alzarsi in piedi già per il primo che
entra, ma non si può, man mano che entrano gli altri protagonisti questa voglia
cresce, quando finalmente entra lei, 3000 persone si alzano i piedi come tanti
fuochi di artifici sparati nel cielo. Dieci minuti di standing ovation, curtain
calls a non finire.
Andiamo allo stage door, dopo mezz’oretta esce, piccolina,
capelli corti e bagnati, (a Londra c’era freddissimo) struccata completamente.
Sorride, si ferma a firmare autografi, parla con le persone, e dolcissima,
umana, umile…sta ancora ‘dando’.
Penso che la mia generazione è stata molto fortunata.
Abbiamo conosciuto veri talenti, gente formato da scuole dure. Abbiamo avuto
attori come Glenn Close, Meryl Streep, Leonardo di Caprio, Jack Nicholson.Protagonisti
come Ted Neely. Noi siamo la generazione
di Andrew Lloyd Webber, Stephen Sondheim, Boubil e Schoenberg. Di Cats, Phantom
of the Opera, Sweeny Todd, Les Miserablès e Miss Saigon.
Penso alla generazione di oggi che hanno i Kardishan e i
reality, che rispondono male alle maestre a scuole riprendendo il tutto con i
cellulari. Che parlano di loro diritti e di ciò che li spetterebbe già a dieci
anni e gli auguro genitori saggi, insegnanti capaci e l’umiltà delle ‘grande
star’.


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